Il fotografo di Mauthausen

                              La fotografia e il suo rapporto ambiguo con la realtà: 

racconto oggettivo o reinterpretazione?




Premessa 

In occasione della giornata della memoria, in classe, abbiamo visto il film “Il fotografo di Mauthausen”.

In questo post parlerò principalmente della fotografia, più specificamente della fotografia ai tempi dei campi di concentramento nazisti. 


“Il fotografo di Mauthausen” - trama

Il film in questione è tratto da una storia vera. Ambientato durante la seconda guerra mondiale, è la storia di un prigioniero spagnolo, Francisco Boix, interpretato da Mario Casas, il quale viene deportato nel campo di concentramento di Mauthausen.

Il responsabile del campo nazista, Ricken, è un appassionato di fotografia, e il mestiere di Francisco prima di essere catturato era proprio quello del fotografo, Francisco guadagna quindi un ruolo privilegiato rispetto ai suoi compagni prigionieri, diventando l’assistente del capo del campo.

Con il passare del tempo Francisco scopre, vedendo i lavori di Ricken, molte brutalità che subivano i detenuti del campo, e comincia ad insospettirsi e a capire la situazione. 

Decide quindi, con l’aiuto dei suoi compagni di camerata, di rubare e nascondere alcuni negativi in dimostrazione di tutto, in modo che se qualcuno li avesse visti sarebbe venuta fuori la verità.


Il triangolo azzurro

Ogni persona che andava a finire in un campo di concentramento veniva identificata con un simbolo. (ad esempio, i prigionieri ebrei venivano identificati con la Stella di David, un triangolo nero per i vagabondi, disabili, malati di mente, ecc)

In questo caso, nel film, il protagonista viene identificato con un triangolo azzurro, era quindi un prigioniero politico spagnolo.


Riflessioni sull’ambiguità della fotografia 

Il responsabile del campo diceva: "La realtà non esiste, dipende dal punto di vista", frasi come questa portano a fare alcune riflessioni sul punto di vista del capo nazista. Quest’ultimo si impegnava a trovare le scene giuste da fotografare, con le luci opportune, e le pose adeguate ai suoi canoni. Le foto che scattava erano a dir poco inquietanti; fotografava mucchi di cadaveri, persone sofferenti, affamate, nude e magrissime. 

Probabilmente lui era convinto che quello che stava succedendo era giusto, che doveva andare così, e che fotografare quei “soggetti” era la normalità.


Nel mentre il protagonista è convinto di dover nascondere e mostrare al mondo quello che facevano in quei posti, ed è per questo che si ingegna per cercare un modo di rubare e nascondere i negativi delle fotografie, anche a costo di perdere la sua vita.


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